ERICE
Origini
Secondo Tucidide Erice (Eryx, Έρυξ in greco antico) fu fondata dagli esuli troiani, che fuggendo nel Mar Mediterraneo avrebbero trovato il posto ideale per insediarvisi; sempre secondo Tucidide, i Troiani unitisi alla popolazione autoctona avrebbero poi dato vita al popolo degli Elimi. Fu contesa dai Siracusani e Cartaginesi sino alla conquista da parte dei Romani nel 244 a.C.
Virgilio la cita nell’Eneide, con Enea che la tocca due volte: la prima per la morte del padre Anchise, un anno dopo per i giochi in suo onore. Virgilio nel canto V racconta che in un’epoca ancora più remota vi campeggia Ercole stesso nella famosa lotta col gigante Erix o Eryx, precisamente nel luogo dove poi si sfidarono al cesto il giovane e presuntuoso Darete e l’anziano Entello.
In antico, insieme a Segesta, che parrebbe di fondazione coeva, era la città più importante degli Elimi, in particolare era il centro in cui si celebravano i riti religiosi.
Durante la prima guerra punica, il generale cartaginese Amilcare Barca ne dispose la fortificazione, e di qui difese Lilibeo. In seguito trasferì parte degli ericini per la fondazione di Drepanon, l’odierna Trapani.
I Romani vi veneravano la “Venere Erycina”, la prima dea della mitologia romana a somiglianza della greca Afrodite, ma Diodoro Siculo narra l’arrivo di Liparo, figlio di Ausonio, alle Isole Eolie (V, 6,7), aggiungendo che i Sicani «abitavano le alte vette dei monti e adoravano Venere Ericina».
Scarse, o quasi nulle, sono le notizie della città e del santuario nel periodo bizantino, restando comunque economicamente attiva.
Dagli arabi agli spagnoli
Denominata Gebel-Hamed durante l’occupazione araba (dall’831 fino alla conquista normanna dell’Isola), la montagna non fu probabilmente nemmeno abitata in
questo periodo. Ripopolata la nuova cittadella col nome di Monte San Giuliano, ribattezzata nel 1167 dai Normanni, acquista prestigio anche con la costruzione di nuovi edifici civili e religiosi, divenendo una della maggiori città demaniali del Regno, grazie anche alle concessioni ottenute sulla base di un falso documento, a firma di Federico II, utilizzato dai suoi abitanti come attestato di legittimità per l’occupazione del vasto territorio che si estendeva dal Monte Erice fino ai confini di Trapani, e verso oriente sino a San Vito Lo Capo e alla confinante città di Castellammare del Golfo. Erice deve la sua rinascita alla Guerra del Vespro, divenendo di fatto la rocca da cui scaturivano le azioni belliche di Federico d’Aragona, re di Sicilia fino al 1337. Sant’Alberto, che predicò l’azione contro gli Angioini discendeva
dagli Abbati, una delle maggiori famiglie della città.
Da ricordare è anche la poco pacifica convivenza con i dominatori spagnoli, culminata con una rivolta popolare assai feroce. La vita monastica, con numerosi monasteri amministrati da famiglie locali, caratterizza la vita cittadina. La gestione delle rendite agricole di questi determina l’edificazione di straordinari edifici tuttora visibili. La ricchezza delle famiglie che quivi vivono sino alla riforma borbonica di Tommaso Natale che, di fatto, scardina il sistema su cui si era retta sino ad allora l’economia delle città demaniali, è testimoniata dai palazzetti e case signorili che si affacciano, numerosi, sulle strade della città. Le circa cento famiglie che nei 700 anni di vita della città hanno partecipato alla conduzione del potere (capitani, giurati, magistrati) hanno lasciato testimonianza della loro vitalità. La ristrutturazione ottocentesca della piazza centrale che era detta della Loggia, dedicata successivamente ad Umberto I, per tornare al suo nome originario nel 2012, ha fatto perdere la lapide che recitava con orgoglio lo sforzo economico che i liberi cittadini di Erice avevano nel Seicento pagato al re per non essere infeudati da nessuno! La città tende comunque a conservare gelosamente il fascino di una cittadina medievale.
A partire dal XVI secolo si svolge la rappresentazione del misteri in occasione del Venerdì Santo, emulando quella trapanese, in misura ridotta ma molto suggestiva. Sostituendo la rappresentazione scenica teatrale con statue in legno attorno all’800, i misteri vengono condotti a spalla, seguendo sempre il percorso originario.
Dal Novecento ai giorni nostri
Nel 1934 Monte San Giuliano riprende il nome di “Erice”. Il suo territorio, denominato Agro ericino, comprendeva oltre al territorio dell’attuale comune, anche quelli di Valderice, Custonaci, San Vito Lo Capo e Buseto Palizzolo.
Dal 1957 si organizza ogni anno, nel periodo primaverile, una gara automobilistica di cronoscalata, denominata “Gara in salita di velocità Monte Erice”, per la quale esistono anche un campionato italiano e un campionato europeo. Sui tornanti che partono da Valderice e raggiungono la vetta dell’omonimo monte, sfrecciano a tutta velocità vetture moderne, storiche, prototipi da competizione e vettura formula, circondati da sportivi e appassionati e, naturalmente, da uno sfondo mozzafiato.
Dal 1963 è sede del Centro di cultura scientifica Ettore Majorana, istituito per iniziativa del professor Antonino Zichichi, che richiama gli studiosi più qualificati del mondo per la trattazione scientifica di problemi che interessano diversi settori: dalla medicina al diritto, dalla storia all’astronomia, dalla filologia alla chimica. Per questo alla cittadina è stato attribuito l’appellativo “città della scienza”.
Dal 1972 ha sede la Associazione Artistica Culturale La Salerniana, fondata dal poeta Giacomo Tranchida che conserva opere di Carla Accardi, Gianni Asdrubali, Pietro Consagra, Antonio Sanfilippo, Emilio Tadini tra gli altri, organizzando mostre d’arte contemporanea curate da critici di rilievo come Palma Bucarelli, Achille Bonito Oliva, Luciano Caramel e Giulio Carlo Argan. Nel 1990, a seguito della prima edizione dell'”Atelier Internazionale di Gastronomia Molecolare“, di cui da allora regolarmente si tengono convegni annuali, si ebbe il formale riconoscimento della disciplina della gastronomia molecolare.